Il Medioevo e l’amore cortese
Visione medievale dell’amore: Generale
La catena dell’essere e la caritas
All’inizio di una delle opere filosofiche più influenti del Medioevo, La consolazione della filosofia di Boezio (circa 524 d.C.), il poeta sembra abbandonato da Dio, situato in fondo alla ruota della sfortuna. Una volta che un consigliere altamente posizionato per l’imperatore Teodorico, Boezio era stato improvvisamente rovesciato dalla sua posizione, accusato di ragione, e gettato in prigione. La sua consolazione, scritta in prigione prima della sua esecuzione, consiste nell’imparare a ignorare i capricci della fortuna (“guarda impassibile alla fortuna buona o cattiva”, gli viene consigliato) e imparare invece a mantenere lo sguardo sulla fonte di tutta la bontà e l’amore, cioè su Dio (“vederti è il nostro fine, / che è la nostra fonte e creatore, signore e via e meta”). Era questa forza, chiamata Dio, o amore nel suo senso spirituale, che governava i movimenti dei pianeti, le maree, i cambiamenti delle stagioni, i trattati tra le nazioni e i legami umani di fedeltà, matrimonio e amicizia. Boezio riassume la nozione:
E tutta questa catena di cose
In terra e mare e cielo
Un solo sovrano tiene in mano:
Se Amore rilassasse le redini
Tutte le cose che ora mantengono la pace
sarebbero in guerra continua
Il tessuto da distruggere
Che l’unità ha formato
Con moti belli. . …
O felice razza di uomini
Se Amore che governa il cielo
potesse governare anche i vostri cuori!
(Trans. V. E. Watts, Baltimora: Penguin,1969, II)
Il mondo medievale era quindi parte di un universo multiforme e gerarchico in cui tutti gli elementi erano legati insieme in una “grande catena dell’essere”. La forza che legava tutti questi elementi era l’amore, chiamato anche caritas o carità, quello che Sant’Agostino (354-430 d.C.) chiamava l’intero movimento dell’anima verso Dio per il suo bene e verso se stessi e il prossimo per il bene di Dio. Tutta la Scrittura, anzi tutta la dottrina cristiana, insegnava l’importanza essenziale della carità in questo senso spiritualizzato.
Caritas contro Amor
Distinto dal senso spiritualizzato dell’amore come caritas, era il senso più mondano dell’amore che veniva chiamato amor. Gli uomini e le donne del Medioevo, come le persone ovunque dall’inizio della storia registrata, erano presi dall’amore nelle sue molte forme e variazioni terrene. Amor significava l’amore per le cose di questo mondo – denaro, potere, possedimenti, altri uomini e donne – cose che, per quanto attraenti e irresistibili, erano per loro natura fragili e di breve durata. Nonostante questi inconvenienti, il denaro e gli averi erano perseguiti con cura durante il Medioevo, e così, naturalmente, l’amore romantico. Quando la ricerca dell’amore umano si esprimeva nella letteratura, appariva spesso nella forma che oggi chiamiamo amore cortese, un termine coniato alla fine del diciannovesimo secolo per descrivere un insieme di convenzioni letterarie associate quasi esclusivamente all’aristocrazia e ai suoi imitatori.
L’amore cortese
L’amore cortese come fenomeno letterario riflette una delle più profonde rivoluzioni della sensibilità sociale nella cultura occidentale – il drammatico cambiamento nell’atteggiamento verso le donne che iniziò alla fine dell’undicesimo secolo, si diffuse in tutta l’Europa occidentale e settentrionale durante il dodicesimo secolo, e si protrasse attraverso il Rinascimento e nel mondo moderno dove se ne possono ancora trovare tracce. Nella sua natura essenziale, l’amore cortese, o fin’ amors, come lo chiamavano i poeti provenzali, era l’espressione del culto cavalleresco di un ideale raffinato incarnato nella persona dell’amato. Solo una natura veramente nobile poteva generare e nutrire un tale amore; solo una donna di magnanimità di spirito era un oggetto degno. L’atto di amare era di per sé nobilitante e raffinante, il mezzo per la massima espressione di ciò che era potenzialmente bello ed elevato nella natura umana.
Più spesso che no, un tale amore si esprimeva in termini che erano feudali e religiosi. Così, come da un vassallo ci si aspettava che onorasse e servisse il suo signore, così da un amante ci si aspettava che servisse la sua signora, che obbedisse ai suoi comandi e che soddisfacesse i suoi più piccoli capricci. L’obbedienza assoluta e la fedeltà incrollabile erano fondamentali. Incorrere nel dispiacere della propria signora significava essere gettato nel vuoto, oltre ogni luce, calore e possibilità di vita. E proprio come il signore feudale stava al di sopra e oltre il suo vassallo, così la signora occupava una sfera più celestiale di quella del suo amante. Di solito sembrava remota e altera, imperiosa e difficile da compiacere. Si aspettava di essere servita e corteggiata, minuziosamente e a lungo. Se gratificata dagli ardori del suo amante-servo, poteva alla fine concedergli la sua speciale attenzione; in circostanze eccezionali, poteva persino concedergli quell’ultimo, agognato favore. La consumazione fisica dell’amore, tuttavia, non era obbligatoria. Ciò che era importante era la prolungata ed esaltante esperienza di essere innamorati.
Di solito uno dei presupposti dell’amore cortese era che la signora in questione fosse sposata, stabilendo così lo schema triangolare di amante-lady-marito geloso. Questo significava che la relazione era almeno potenzialmente adultera, e doveva essere condotta in un’atmosfera di segretezza e pericolo. L’assoluta discrezione dell’amante era quindi indispensabile per preservare l’onore della signora. Anche se la convenzione non prevedeva l’adulterio come conditio sine qua non, è comunque vero che i due grandi modelli di amore cortese nel Medioevo – Tristano e Isotta e Lancillotto e Ginevra – coinvolgevano entrambi donne che ingannavano i loro mariti.
Implicazioni dell’amore cortese
Quale effetto pratico ebbe la convenzione dell’amore cortese sulla situazione delle donne nel Medioevo? Molto poco, se dobbiamo credere agli storici sociali, i quali sottolineano che non ci sono prove che dimostrino che la posizione giuridica ed economica delle donne sia stata materialmente migliorata in qualche modo che possa essere attribuito all’influenza dell’amore cortese. Nel contesto culturale più esterno, tuttavia, è possibile discernere due effetti a lungo raggio dell’amore cortese sulla civiltà occidentale. Per un verso, ha fornito all’Europa un linguaggio raffinato ed elevato con cui descrivere la fenomenologia dell’amore. Per un altro, fu un fattore significativo nell’aumento del ruolo sociale delle donne. La vita a volte ha un modo di imitare l’arte, e non c’è dubbio che gli uomini e le donne aristocratiche del Medioevo iniziarono a mettere in pratica nei loro amori il modello di comportamento cortese che leggevano nei romanzi e nelle liriche d’amore del periodo. L’effetto sociale fu quello di accordare alle donne la preminenza nella grande, centrale, attività umana del corteggiamento e del matrimonio. Così le donne divennero più che semplici oggetti amati – altezzose, esigenti, misteriose; divennero, in un senso molto reale, ciò che sono rimaste da allora, i principali arbitri del gioco dell’amore e gli impresari della passione raffinata.
Verso la fine del Medioevo, nell’opera di Dante e di altri poeti del XIV secolo, la distinzione tra amor e caritas si offusca: la Priora di Chaucer indossa ironicamente una spilla su cui è inciso “Amor Vincit Omnia” (“L’amore vince tutto”). L’immaginario secolare dell’amore cortese era usato nei poemi religiosi in lode della Vergine Maria. L’amante con “un cuore gentile”, come in una poesia di Guido Guinizelli, poteva essere condotto attraverso una visione della bellezza femminile ad una visione della grazia celeste. Uno dei più grandi successi di Dante fu quello di trasformare la sua amata, vista principalmente in termini fisici, mondani, amorosi nella sua prima opera, La Vita Nuova, nella figura astratta, spiritualizzata e religiosa di Beatrice nella Divina Commedia.