L’ascesa del governo centralizzato: L’undicesima conferenza di Guizot
Siamo ormai giunti alla soglia della storia moderna, nel senso proprio del termine. Ci avviciniamo ora a quello stato di società che può essere considerato come il nostro, e le istituzioni, le opinioni e le maniere che erano quelle della Francia quarant’anni fa, sono ancora quelle dell’Europa e, nonostante i cambiamenti prodotti dalla nostra rivoluzione, continuano ad esercitare una potente influenza su di noi. È nel XVI secolo, come vi ho già detto, che inizia veramente la società moderna…
La realizzazione effettiva di questo cambiamento appartiene al XVI e XVII secolo, anche se è nel XV che è stato preparato. È questa preparazione, questo processo silenzioso e nascosto di centralizzazione, sia nei rapporti sociali che nelle opinioni degli uomini – un processo compiuto, senza premeditazione o disegno, dal corso naturale degli eventi – che dobbiamo ora fare oggetto della nostra indagine.
È così che l’uomo avanza nell’esecuzione di un piano che non ha concepito, e di cui non è nemmeno consapevole. Egli è l’artefice libero e intelligente di un’opera che non è sua. Non lo percepisce e non lo comprende, finché non si manifesta con apparenze esterne e risultati reali; e anche allora lo comprende in modo molto incompleto. Ma è attraverso la sua strumentalità e lo sviluppo della sua intelligenza e della sua libertà che essa si compie. Immaginate una grande macchina, il cui progetto è centrato in una sola mente, sebbene le sue varie parti siano affidate a diversi operai, separati ed estranei l’uno all’altro. Nessuno di loro comprende l’opera nel suo insieme, né il risultato generale che concorre a produrre; ma ognuno esegue, con intelligenza e libertà, con atti razionali e volontari, il particolare compito assegnatogli. È così che per mano dell’uomo si realizzano i disegni della Provvidenza nel governo del mondo. È così che i due grandi fatti che appaiono nella storia della civiltà vengono a coesistere: da un lato, quelle parti di essa che possono essere considerate come volute, o che accadono senza il controllo della conoscenza o della volontà umana; dall’altro, la parte giocata in essa dalla libertà e dall’intelligenza dell’uomo, e ciò che egli vi contribuisce per mezzo del suo proprio giudizio e della sua volontà…
Inizio dalla Francia. L’ultima metà del XIV e la prima metà del XV secolo furono, come tutti sapete, un periodo di grandi guerre nazionali contro gli inglesi. Questo fu il periodo della lotta per l’indipendenza del territorio francese e del nome francese contro la dominazione straniera. Basta aprire il libro della storia per vedere con quale ardore, nonostante una moltitudine di tradimenti e dissensi, tutte le classi della società francese si unirono a questa lotta, e quale patriottismo animò la nobiltà feudale, i borghesi e persino i contadini. Se non avessimo altro che la storia di Giovanna d’Arco per mostrare lo spirito popolare dell’epoca, essa sola basterebbe allo scopo…
Così cominciò a formarsi la nazionalità della Francia. Fino al regno della casa di Valois, il carattere feudale prevaleva in Francia; una nazione francese, uno spirito francese, un patriottismo francese non esistevano ancora. Con i principi della casa di Valois inizia la storia della Francia, propriamente detta. Fu nel corso delle loro guerre, tra le varie svolte della loro fortuna, che, per la prima volta, la nobiltà, i cittadini, i contadini, furono uniti da un legame morale, dal legame di un nome comune, un onore comune, e da un desiderio ardente di vincere l’invasore straniero. Non dobbiamo, tuttavia, aspettarci di trovare tra loro, in questo periodo, un vero spirito politico, un grande disegno di unità di governo e di istituzioni, secondo le concezioni attuali. L’unità della Francia, in quel periodo, risiedeva nel suo nome, nel suo onore nazionale, nell’esistenza di una monarchia nazionale, non importa di quale carattere, a condizione che nessuno straniero avesse qualcosa a che fare con essa. Fu così che la lotta contro gli inglesi contribuì fortemente a formare la nazione francese e a spingerla verso l’unità.
Al tempo stesso che la Francia si formava così dal punto di vista morale, essa si estendeva anche fisicamente, come si può dire, allargando, fissando e consolidando il suo territorio. Questo fu il periodo dell’incorporazione della maggior parte delle province che ora costituiscono la Francia…
Passiamo dalla nazione al governo, e vedremo il compimento di eventi della stessa natura; avanzeremo verso lo stesso risultato. Il governo francese non era mai stato così privo di unità, di coesione e di forza come sotto il regno di Carlo VI e durante la prima parte del regno di Carlo VII. Alla fine di questo regno, l’aspetto di tutto era cambiato. C’erano segni evidenti di un potere che si stava confermando, estendendo, organizzando. Tutte le grandi risorse di governo, la tassazione, la forza militare e l’amministrazione della giustizia, furono create su larga scala e quasi contemporaneamente. Questo fu il periodo della formazione di un esercito permanente e di una milizia permanente – le compagnies-d’ordonnance, composte da cavalleria, e gli arcieri liberi, la fanteria. Con queste compagnie, Carlo VII ristabilì un certo grado di ordine nelle province, che erano state desolate dalla licenza e dalle esazioni dei soldati, anche dopo la fine della guerra. Tutti gli storici contemporanei si dilungano sui meravigliosi effetti delle compagnies-d’ordonnance. Fu in questo periodo che la taille, una delle principali entrate della corona, fu resa perpetua; una grave violazione della libertà del popolo, ma che contribuì potentemente alla regolarità e alla forza del governo. Allo stesso tempo il grande strumento di potere, l’amministrazione della giustizia, fu esteso e organizzato…
Così, per quanto riguarda la forza militare, il potere di tassazione e l’amministrazione della giustizia, cioè per quanto riguarda le cose che costituiscono la sua essenza, il governo acquisì in Francia, nel XV secolo, un carattere di unità, regolarità e permanenza, prima sconosciuto; e i poteri feudali furono finalmente sostituiti dal potere dello stato.
Al tempo stesso, inoltre, si compì un cambiamento di carattere molto diverso; un cambiamento non così visibile, e che non ha attirato così tanto l’attenzione degli storici, ma ancora più importante, forse, di quelli che sono stati menzionati: il cambiamento effettuato da Luigi XI nel modo di governare… Prima del suo tempo il governo era stato portato avanti quasi interamente con la forza, e con mezzi puramente fisici. La persuasione, l’indirizzo, la cura nel lavorare sulle menti degli uomini e nel portarli alle vedute del governo – in una parola, ciò che è propriamente chiamato politica – politica, certo, di falsità e di inganno, ma anche di gestione e di prudenza – erano stati fino ad allora poco curati. Luigi XI sostituì i mezzi intellettuali a quelli materiali, l’astuzia alla forza, la politica italiana a quella feudale…
Dalla Francia mi rivolgo alla Spagna; e vi trovo movimenti della stessa natura. Fu anche nel XV secolo che la Spagna si consolidò in un unico regno. In questo periodo si pose fine alla lunga lotta tra cristiani e mori, con la conquista di Grenada. Anche allora il territorio spagnolo si centralizzò: con il matrimonio di Ferdinando il Cattolico e Isabella, i due regni principali, Castiglia e Aragona, furono uniti sotto lo stesso dominio. Allo stesso modo che in Francia, la monarchia fu estesa e confermata. Fu sostenuta da istituzioni più severe, che portavano nomi più cupi. Invece dei parlamenti, fu l’Inquisizione che ebbe la sua origine in Spagna. Essa conteneva il germe di ciò che divenne in seguito; ma all’inizio era di natura politica piuttosto che religiosa, ed era destinata a mantenere l’ordine civile piuttosto che a difendere la fede religiosa…
Un’analogia simile può essere scoperta in Germania. Fu a metà del XV secolo, nel 1438, che la casa d’Austria entrò nell’impero; e che il potere imperiale acquisì una permanenza che non aveva mai posseduto prima. Da quel momento l’elezione fu solo una sanzione data al diritto ereditario. Alla fine del XV secolo, Massimiliano I stabilì definitivamente la preponderanza della sua casa e l’esercizio regolare dell’autorità centrale; Carlo VII fu il primo in Francia che, per la conservazione dell’ordine, creò una milizia permanente; Massimiliano fu anche il primo nei suoi domini ereditari, che realizzò lo stesso fine con gli stessi mezzi. Luigi XI aveva istituito in Francia l’ufficio postale per il trasporto delle lettere; Massimiliano I lo introdusse in Germania. Nel progresso della civiltà gli stessi passi furono fatti ovunque, in modo simile, per il vantaggio del governo centrale.
La storia dell’Inghilterra nel XV secolo consiste in due grandi eventi: la guerra con la Francia all’estero e la contesa delle due Rose in patria. Queste due guerre, sebbene diverse nella loro natura, ebbero risultati simili. La contesa con la Francia fu mantenuta dal popolo inglese con un grado di ardore che andò interamente a vantaggio dei reali. Il popolo, già notevole per la prudenza e la determinazione con cui difendeva le sue risorse e i suoi tesori, li cedeva in quel periodo ai suoi monarchi, senza previsione né misura. Fu durante il regno di Enrico V che una tassa considerevole, consistente in dazi doganali, fu concessa al re per tutta la vita, quasi all’inizio del suo regno. La guerra estera era appena finita, quando la guerra civile, che era già scoppiata, fu portata avanti; le case di York e Lancaster si disputavano il trono. Quando alla fine queste lotte sanguinarie furono portate a termine, la nobiltà inglese era rovinata, ridotta di numero e non più in grado di conservare il potere che aveva precedentemente esercitato. La coalizione dei grandi baroni non era più in grado di governare il trono. I Tudor vi salirono; e con Enrico VII, nel 1485, inizia l’era della centralizzazione politica, il trionfo della regalità.
La monarchia non si affermò in Italia, almeno sotto questo nome; ma questo fece poca differenza per il risultato. Fu nel XV secolo che avvenne la caduta delle repubbliche italiane. Anche dove il nome fu mantenuto, il potere si concentrò nelle mani di una sola o di poche famiglie. Lo spirito del repubblicanesimo si estinse. Nel nord dell’Italia, quasi tutte le repubbliche lombarde si fusero nel Ducato di Milano. Nel 1434, Firenze cadde sotto il dominio dei Medici. Nel 1464, Genova divenne soggetta a Milano. La maggior parte delle repubbliche, grandi e piccole, cedette al potere delle case sovrane; e subito dopo cominciarono le pretese di sovrani stranieri al dominio del nord e del sud d’Italia; al Milanese e al regno di Napoli.
Infatti, in qualunque paese d’Europa gettiamo lo sguardo, qualunque parte della sua storia consideriamo, che si tratti delle nazioni stesse o dei loro governi, dei loro territori o delle loro istituzioni, vediamo ovunque scomparire i vecchi elementi, le vecchie forme di società. Quelle libertà che erano fondate sulla tradizione sono andate perdute; sono sorti nuovi poteri, più regolari e concentrati di quelli che esistevano prima. C’è qualcosa di profondamente malinconico in questa visione della caduta delle antiche libertà d’Europa. Anche ai suoi tempi ispirava sentimenti di estrema amarezza… Ogni sistema che non prevede l’ordine presente e il progresso progressivo per il futuro, è vizioso e rapidamente abbandonato. E questo fu il destino delle vecchie forme politiche di società, delle antiche libertà dell’Europa del XV secolo. Esse non potevano dare alla società né sicurezza né progresso. Questi oggetti vennero naturalmente cercati altrove; per ottenerli, si ricorse ad altri principi e ad altri mezzi; e questa è l’importanza di tutti i fatti sui quali ho appena richiamato la vostra attenzione.
A questo stesso periodo si può assegnare un’altra circostanza che ha avuto una grande influenza sulla storia politica dell’Europa. Fu nel XV secolo che le relazioni tra i governi cominciarono ad essere frequenti, regolari e permanenti. Ora, per la prima volta, si formarono quelle grandi combinazioni per mezzo di alleanze, sia per scopi pacifici che bellici, che, in un periodo successivo, diedero origine al sistema dell’equilibrio di potere. La diplomazia europea ebbe origine nel XV secolo. Infatti si può vedere, verso la sua fine, le principali potenze del continente europeo, i papi, i duchi di Milano, i veneziani, gli imperatori tedeschi, i re di Francia e di Spagna, entrare in una corrispondenza più stretta tra loro di quanto non fosse esistita fino a quel momento; negoziare, combinare ed equilibrare i loro diversi interessi… Questo nuovo ordine di cose fu molto favorevole alla carriera della monarchia. Da un lato, appartiene alla natura stessa delle relazioni esterne degli stati il fatto che possano essere condotte solo da una sola persona, o da un numero molto piccolo, e che richiedano un certo grado di segretezza; dall’altro, il popolo era così poco illuminato che le conseguenze di una combinazione di questo tipo gli sfuggivano completamente. Siccome non aveva alcuna attinenza diretta con la loro vita individuale o domestica, se ne preoccupavano poco; e, come al solito, lasciavano tali transazioni alla discrezione del governo centrale. Così la diplomazia, nella sua stessa nascita, cadde nelle mani dei re; e l’opinione, che appartiene esclusivamente a loro; che la nazione, anche quando è libera, e possiede il diritto di votare le proprie tasse, e di interferire nella gestione dei suoi affari interni, non ha il diritto di immischiarsi in questioni straniere; – questa opinione, dico, si è affermata in tutte le parti d’Europa, come un principio stabilito, una massima del diritto comune …I popoli sono notevolmente timidi nel contestare questa parte della prerogativa; e la loro timidezza è costata loro più cara, per questa ragione, che, dall’inizio del periodo in cui stiamo entrando ora (cioè il XVI secolo), la storia d’Europa è essenzialmente diplomatica. Per quasi tre secoli, le relazioni estere costituiscono la parte più importante della storia. Gli affari interni dei paesi cominciarono ad essere condotti regolarmente; il governo interno, almeno sul continente, non produceva più violente convulsioni, e non teneva più la mente pubblica in uno stato di agitazione e di eccitazione. Solo le relazioni estere, le guerre, i trattati, le alleanze, occupano l’attenzione e riempiono la pagina della storia; così che troviamo i destini delle nazioni abbandonati in larga misura alla prerogativa reale, al potere centrale dello stato…
Fino al XV secolo, le uniche idee generali che avevano una potente influenza sulle masse erano quelle legate alla religione. Solo la Chiesa era investita del potere di regolarle, promulgarle e prescriverle. Tentativi di indipendenza, è vero, e persino di separazione, furono fatti frequentemente; e la Chiesa dovette fare molto per superarli. Fino a questo periodo, tuttavia, aveva avuto successo. I credi rifiutati dalla Chiesa non avevano mai avuto una presa generale o permanente sulla mente del popolo; persino gli Albigesi erano stati repressi. Dissensi e lotte erano incessanti nella Chiesa, ma senza alcun risultato decisivo ed eclatante. Il XV secolo si aprì con la comparsa di un diverso stato di cose. Nuove idee e un desiderio pubblico e dichiarato di cambiamento e di riforma cominciarono ad agitare la Chiesa stessa. La fine del XIV e l’inizio del XV secolo furono segnati dal grande scisma dell’Occidente, risultante dalla rimozione della cattedra papale ad Avignone, e dalla creazione di due papi, uno ad Avignone e l’altro a Roma. La contesa tra questi due papi è ciò che viene chiamato il grande scisma d’Occidente. Cominciò nel 1378. Nel 1409, il Concilio di Pisa cercò di porvi fine deponendo i due papi rivali ed eleggendone un altro. Ma invece di porre fine allo scisma, questo passo lo rese solo più violento.
Ora c’erano tre papi invece di due; e i disordini e gli abusi continuavano ad aumentare. Nel 1414, si riunì il Concilio di Costanza, convocato per desiderio dell’imperatore Sigismondo. Questo concilio si occupò di una questione molto più importante della nomina di un nuovo papa; esso intraprese la riforma della Chiesa. Iniziò proclamando l’indissolubilità del concilio universale e la sua superiorità sul potere papale. Si sforzò di stabilire questi principi nella Chiesa e di riformare gli abusi che vi si erano insinuati, in particolare le esazioni con cui la corte di Roma otteneva denaro… Il concilio elesse un nuovo papa, Martino V, nel 1417. Il papa fu incaricato di presentare, da parte sua, un piano per la riforma della Chiesa. Questo piano fu respinto e il concilio si separò. Nel 1431, un nuovo concilio si riunì a Basilea con lo stesso progetto. Esso riprese e continuò i lavori di riforma del Concilio di Costanza, ma senza maggior successo. Lo scisma scoppiò in questa assemblea come aveva fatto nella cristianità…
In questo modo il papato ebbe la meglio, rimase in possesso del campo di battaglia e del governo della Chiesa…
Ma i progetti dei riformatori incontrarono un nuovo rovescio della fortuna. Come il concilio aveva fallito, così la sanzione pragmatica. Essa perì molto presto in Germania. Fu abbandonata dalla Dieta nel 1448, in virtù di una trattativa con Nicola V. Nel 1516, anche Francesco I la abbandonò, sostituendovi il suo concordato con Leone X. La riforma tentata dai principi non riuscì meglio di quella avviata dal clero. Ma non dobbiamo concludere che sia stata interamente gettata via…
I concili avevano ragione a cercare una riforma legale, perché era l’unico modo per prevenire una rivoluzione. Quasi nel momento in cui il Concilio di Pisa si sforzava di porre fine al grande scisma occidentale, e il Concilio di Costanza di riformare la Chiesa, scoppiavano in Boemia i primi tentativi di riforma religiosa popolare. La predicazione di Giovanni Huss, e il suo progresso come riformatore, iniziò nel 1404, quando iniziò a insegnare a Praga. Qui, dunque, abbiamo due riforme che procedono fianco a fianco; l’una nel seno stesso della Chiesa, tentata dalla stessa aristocrazia ecclesiastica, cauta, imbarazzata e timida; l’altra originata al di fuori della Chiesa e diretta contro di essa, violenta, appassionata e impetuosa. Tra queste due potenze, questi due partiti, iniziò una contesa. Il concilio attirò Giovanni Huss e Girolamo di Praga a Costanza, e li condannò alle fiamme come eretici e rivoluzionari… La riforma popolare di Giovanni Huss fu per il momento soffocata; la guerra degli Hussiti scoppiò tre o quattro anni dopo la morte del loro maestro; fu lunga e violenta, ma alla fine l’impero riuscì a sottometterla. Il fallimento dei consigli nell’opera di riforma, il loro non essere in grado di raggiungere l’obiettivo a cui miravano, non fece che mantenere la mente pubblica in uno stato di fermentazione. Lo spirito di riforma esisteva ancora; aspettava solo un’opportunità per scoppiare di nuovo, e questa la trovò all’inizio del XVI secolo. Se la riforma intrapresa dai concili fosse stata portata a buon fine, forse la riforma popolare sarebbe stata impedita. Ma era impossibile che l’una o l’altra non avesse successo, perché la loro coincidenza ne dimostra la necessità.
Questo è dunque lo stato, riguardo ai credi religiosi, in cui l’Europa fu lasciata nel XV secolo: una riforma aristocratica tentata senza successo, con una riforma popolare soppressa iniziata, ma ancora pronta a scoppiare di nuovo.
Non fu solo ai credi religiosi che la mente umana fu diretta, e di cui si occupò in questo periodo. Fu nel corso del XIV secolo, come tutti sapete, che l’antichità greca e romana fu (se posso usare l’espressione) restaurata in Europa. Sapete con quale ardore Dante, Petrarca, Boccaccio e tutti i loro contemporanei cercavano manoscritti greci e latini, li pubblicavano e li diffondevano all’estero; e quale gioia generale era prodotta dalla più piccola scoperta in questo ramo del sapere. Fu in mezzo a questa eccitazione che sorse la scuola classica; una scuola che ha svolto una parte molto più importante nello sviluppo della mente umana di quanto generalmente le sia stato attribuito. Ma dobbiamo essere cauti nell’attribuire a questo termine, scuola classica, il significato che gli viene attribuito attualmente. Aveva a che fare, a quei tempi, con questioni molto diverse dai sistemi e dalle dispute letterarie. La scuola classica di quel periodo ispirava ai suoi discepoli ammirazione, non solo per gli scritti di Virgilio e Omero, ma per l’intera struttura della società antica, per le sue istituzioni, le sue opinioni, la sua filosofia, così come la sua letteratura. L’antichità, bisogna ammetterlo, sia per quanto riguarda la politica, la filosofia o la letteratura, era molto superiore all’Europa del XIV e XV secolo. Non è sorprendente, quindi, che abbia esercitato un’influenza così grande … Così si formò quella scuola di audaci pensatori che apparve all’inizio del XV secolo, e in cui prelati, giuristi e uomini di cultura erano uniti da sentimenti e scopi comuni.
In mezzo a questo movimento avvenne la presa di Costantinopoli da parte dei Turchi, nel 1453, la caduta dell’impero d’Oriente, e l’afflusso dei Greci fuggitivi in Italia. Questi portarono con sé una maggiore conoscenza dell’antichità, numerosi manoscritti e mille nuovi mezzi per studiare la civiltà degli antichi. Si può facilmente immaginare come questo debba aver raddoppiato l’ammirazione e l’ardore della scuola classica. Questo fu il periodo più brillante della Chiesa, specialmente in Italia, non in termini di potere politico, ma di ricchezza e di lusso. La Chiesa si abbandonò a tutti i piaceri di una civiltà indolente, elegante, licenziosa; al gusto delle lettere, delle arti, dei piaceri sociali e fisici…
Osserviamo, dunque, tre grandi fatti nell’ordine morale della società in questo periodo: da un lato, una riforma ecclesiastica tentata dalla Chiesa stessa; dall’altro, una riforma popolare, religiosa; e infine, una rivoluzione intellettuale, che formò una scuola di liberi pensatori; e tutte queste trasformazioni furono preparate nel mezzo del più grande cambiamento politico che abbia mai avuto luogo in Europa, nel mezzo del processo di centralizzazione delle nazioni e dei governi.
Ma questo non è tutto. Il periodo in questione è stato anche uno dei più notevoli per la manifestazione dell’attività fisica tra gli uomini. È stato un periodo di viaggi, spostamenti, imprese, scoperte e invenzioni di ogni tipo. Era il tempo della grande spedizione portoghese lungo le coste dell’Africa; della scoperta del nuovo passaggio per l’India dal Capo di Buona Speranza, da parte di Vasco de Gama; della scoperta dell’America, da parte di Cristoforo Colombo; della meravigliosa estensione del commercio europeo. Mille nuove invenzioni iniziarono; altre già conosciute, ma confinate in un ambito ristretto, divennero popolari e di uso generale. La polvere da sparo cambiò il sistema di guerra; la bussola cambiò il sistema di navigazione. La pittura ad olio fu inventata e riempì l’Europa di capolavori d’arte. L’incisione su rame, inventata nel 1406, li moltiplicò e li diffuse. La carta di lino divenne comune. Infine, tra il 1436 e il 1452, fu inventata la stampa, tema di tante declamazioni e luoghi comuni, ma ai cui meriti ed effetti nessun luogo comune o dichiarazione potrà mai rendere giustizia.
Da tutto ciò, ci si può fare un’idea della grandezza e dell’attività del XV secolo; una grandezza che, all’epoca, non era molto evidente; un’attività i cui risultati non si manifestarono immediatamente. Le riforme violente sembravano fallire; i governi acquisivano stabilità. Si sarebbe potuto supporre che la società stesse ora per godere dei benefici di un ordine migliore e di un progresso più rapido. Le potenti rivoluzioni del XVI secolo erano a portata di mano; il XV secolo le aveva preparate.