p404 Dittatore
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Articolo non firmato su pp404-408 di
William Smith, D.C.L., LL.D.:
A Dictionary of Greek and Roman Antiquities, John Murray, London, 1875.
DICTA′TOR, un magistrato straordinario a Roma. Il nome è di origine latina, e l’ufficio probabilmente esisteva in molte città latine prima che fosse introdotto a Roma (Dionys. V.74). Lo troviamo a Lanuvium anche in tempi molto tardi (Cic. pro Mil. 10). A Roma questo magistrato era originariamente chiamato magister populi e non dictator, e nei libri sacri fu sempre designato con il primo nome fino agli ultimi tempi (Cic. de Rep. I.40,de Leg. III.3, de Fin. III.22; Var. L.L. V.82, ed. Müller; Festo, s.v. optima lex, p198, ed. Müller).
Al momento dell’istituzione della repubblica romana il governo dello stato fu affidato a due consoli, affinché i cittadini fossero meglio protetti contro l’esercizio tirannico del potere supremo. Ma ben presto si sentì che potevano sorgere circostanze in cui era importante per la sicurezza dello stato che il governo fosse affidato nelle mani di una sola persona, che doveva possedere per una stagione il potere assoluto, e dalle cui decisioni non ci si doveva appellare a nessun altro organo. Così avvenne che nel 501 a.C., nove anni dopo la cacciata dei Tarquini, fu istituita la dittatura. Il nome del primo dittatore e il motivo immediato della sua nomina sono stati indicati in modo diverso dagli annalisti. Le autorità più antiche menzionano T. Larcius, uno dei consoli dell’anno, come primo dittatore, ma altri attribuiscono questo onore a M’. Valerio (Liv. II.18). Livio afferma (l.c.) che una formidabile guerra con i Latini portò alla nomina; e trova anche menzionato negli annali che i consoli di questo anno erano sospettati di appartenere al partito dei Tarquini; ma in quest’ultimo caso T. Larcius non poteva essere uno dei consoli. Dionigi riferisce a lungo (V.63-70) che la plebe, oppressa dal peso dei suoi debiti, approfittò del pericolo della repubblica per ottenere qualche attenuazione delle sue sofferenze, e si rifiutò di servire nell’esercito, e che quindi si ricorse a un dittatore per riportarla al suo dovere. Ma siccome Livio non fa menzione di alcun disordine interno in questo anno, e non parla di alcuna sommossa a causa dei debiti fino a quattro anni dopo, possiamo concludere che Dionigi ha in questo caso, come in molti altri, disertato gli annalisti per dare quello che gli sembrava un motivo più soddisfacente. È vero che i patrizi si avvalsero spesso della dittatura come mezzo per opprimere la plebe; ma è certamente inutile cercare la prima istituzione della carica in qualsiasi altra causa che non sia quella semplice menzionata da Livio, cioè il grande pericolo con cui lo stato era minacciato. Gli studiosi moderni hanno indicato altre ragioni per l’istituzione della dittatura, che sono così puramente congetturali e possiedono così poca probabilità intrinseca, che non richiedono alcuna confutazione. Così Niebuhr deduce (Hist. of Rome, vol. I. p564) dal fatto che il dittatore romano era nominato solo per sei mesi, che egli era a capo sia di Roma che della lega latina, e che un dittatore latino possedeva il potere supremo per gli altri sei mesi dell’anno; ma questa supposizione, indipendente da altre considerazioni, è contraddetta dal fatto che nell’anno in cui il dittatore fu nominato per la prima volta, Roma e i Latini si stavano preparando alla guerra tra loro. Allo stesso modo Huschke (Verfassung d. Servius Tullius, p516) avanza la strana ipotesi che la dittatura facesse parte della costituzione di Servio Tullio, e che un dittatore dovesse essere nominato ogni decennio allo scopo di fissare il clavus annalis e di tenere il censimento.
In base alla legge originale riguardante la nomina di un dittatore (lex de dictatore creando) nessuno era idoneo a questa carica, se non era stato precedentemente console (Liv. II.18). Troviamo, tuttavia, alcuni casi in cui questa legge non fu osservata (vedi ad esempio Liv. IV.26,48,VII.24). Quando si riteneva necessario un dittatore, il Senato emanava un senatus consultum affinché uno dei consoli nominasse (dicere) un dittatore; e senza un precedente decreto del Senato i consoli non avevano il potere di nominare un dittatore, sebbene nella maggior parte delle opere sulle antichità romane si affermasse il contrario. In quasi tutti i casi troviamo menzione di un precedente decreto del senato (vedi ad esempio II.30, IV.17,21,23,26,57,VI.2,VII.21,VIII.17,IX.29,X.11,XXII.57); e in pochi casi, in cui si parla solo della nomina da parte del console, il senatus consultum probabilmente non è menzionato, semplicemente perché era una cosa ovvia. Niebuhr infatti suppone (Hist. of Rome, vol. I p567) che il dittatore sia stato originariamente creato dalla curiae, come i re. Secondo la sua visione, il senato proponeva una persona come dittatore, che la curiae eleggeva e il console proclamava (dixit); e dopo questa proclamazione il magistrato appena eletto riceveva l’imperium dalla curiae. Ma questa elezione del dittatore da parte della curia è sostenuta solo da due passaggi, uno di Dionigi e l’altro in Festo, nessuno dei quali è conclusivo a favore della visione di Niebuhr. Dionigi dice semplicemente (V.70) che il dittatore dovrebbe essere uno “che il senato dovrebbe nominare e il popolo approvare” (ἐπιψηφίσθαι), ma questo potrebbe semplicemente riferirsi alla concessione dell’imperium da parte della curiae. In Festo (p198) leggiamo “M. Valerius – qui primus magister a populo creatus est;” ma anche se non ci fosse corruzione in questo passaggio, dobbiamo solo capire che un dittatore è stato nominato in virtù di un senatus consultum, e certamente non dobbiamo supporre che per populus si intendano le curiae: non ci può essere comunque quasi alcun dubbio che il passaggio sia corrotto, e che la vera lettura sia “qui primus magister populi creatus est.” Possiamo quindi respingere con sicurezza l’elezione da parte delle curiae.
La nomina o la proclamazione del dittatore da parte del console era comunque necessaria in tutti i casi. Era sempre fatta dal console, probabilmente senza testimoni, tra mezzanotte e il mattino, e con l’osservanza degli auspici (surgens o oriens nocte silentio dictatorem dicebat, Liv.VIII.23,IX.38,XXIII.22;Dionys. X.11). La parola tecnica per questa nomina o proclamazione era dicere (raramente creare o facere). Era così essenziale la nomina dei consoli, che troviamo il Senato in un’occasione aver fatto ricorso ai tribuni del popolo per costringere i consoli a nominare un dittatore, quando si erano rifiutati di farlo (Liv. IV.26); e dopo la battaglia al lago Trasimeno, quando tutte le comunicazioni con il console superstite furono interrotte, il senato provvide all’emergenza facendo eleggere al popolo un prodittatore, perché, dice Livio, il popolo non poteva eleggere (creare) un dittatore, non avendo mai esercitato fino a quel momento un tale potere (Liv. XXII.8Nello stesso spirito, si pose la questione se i tribuni militum con potere consolare potessero nominare un dittatore, e non si arrischiarono a farlo fino a quando gli augelli non furono consultati e lo dichiararono ammissibile (Liv. IV.21). La nomina di Silla da parte di un Interrex e di Cesare da parte di un pretore era contraria a tutti i precedenti e del tutto illegale (cfr. Cic. ad Att. IX.15). Il senato sembra aver solitamente menzionato nel suo decreto il nome della persona che il console doveva nominare (Liv. IV.17,21,23,46,VI.2,VII.12,VIII.17,IX.29,X.11,XXII.57); ma che il console non fosse assolutamente tenuto a nominare la persona che il senato aveva nominato, è evidente dai casi in cui i consoli nominarono persone in opposizione alla volontà del senato (Liv.III.12,Epit. 19;Suet. Tib. 2). Non è chiaro quale regola fosse adottata, o se ne esistesse una, per determinare quale dei due consoli dovesse nominare il dittatore. In un caso leggiamo che la nomina veniva fatta dal console che aveva le forze (Liv. VIII.12), in un altro che veniva deciso per sorteggio (IV.26), e in un terzo che si trattava di un accordo tra loro (IV.21). Nei tempi successivi il senato di solito affidava la carica al console che era più vicino. La nomina aveva luogo a Roma, come regola generale; e se i consoli erano assenti, uno di loro veniva richiamato in città, quando era possibile (Liv.VII.19,XXIII.22); ma se questo non poteva essere fatto, un senatus consultum che autorizzava la nomina veniva inviato al console, che quindi effettuava la nomina nel campo (Liv.VII.21,VIII.23,IX.38,XXV.2,XXVII.5). Tuttavia, si mantenne la regola che la nomina non poteva avvenire al di fuori dell’Ager Romanus, anche se il significato di questa espressione fu esteso fino a comprendere tutta l’Italia. Così troviamo il senato nella seconda guerra punica opporsi alla nomina di un dittatore in Sicilia, perché era al di fuori dell’ager Romanus (extra agrum Romanum – eum autem Italia terminari,Liv. XXVII.5).
Originariamente il dittatore era naturalmente un patrizio. Il primo dittatore plebeo fu C. Marcius Rutilius, nominato nel 356 a.C. dal console plebeo M. Popillius Laenas (Liv. VII.17).
Le ragioni, che portarono alla nomina di un dittatore, richiedevano che ce ne fosse solo uno alla volta. L’unica eccezione a questa regola si verificò nel 216 a.C. dopo la battaglia di Cannae, quando M. Fabius Buteo fu nominato dittatore allo scopo di riempire i posti vacanti nel senato, sebbene M. Junius Pera stesse svolgendo i regolari compiti del dittatore; ma Fabius si dimise il giorno della sua nomina con la motivazione che non potevano esserci due dittatori allo stesso tempo (Liv. XXIII.22, 23;Plut. Fab. 9). I dittatori che venivano nominati per portare avanti gli affari dello stato erano detti nominati rei gerundae causa, o talvolta seditionis sedandae causa; e a loro, come agli altri magistrati, l’imperium era conferito da una Lex Curiata (Liv. IX.38, 39;Dionys. V.70). Anche i dittatori erano spesso nominati per qualche scopo speciale, e spesso uno di piccola importanza, di cui si farà ulteriore menzione in seguito. Al momento limitiamo le nostre osservazioni ai doveri e ai poteri del dictator rei gerundae causa.
La dittatura era limitata a sei mesi (Cic. de Leg. III.3; Liv.III.29,IX.34,XXIII.23; Dionys. V.70,X.25; Dion Cass.XXXVI.34º,XLII.21; Zonar. VII.13), e non ci sono casi in cui una persona abbia ricoperto questa carica per un tempo più lungo, perché le dittature di Silla e di Cesare non sono ovviamente da prendere in considerazione. Al contrario, anche se un dittatore veniva nominato per sei mesi, spesso si dimetteva dalla sua carica molto tempo prima, subito dopo aver sbrigato gli affari per i quali era stato nominato (Liv.III.29,IV.46,VI.29). Non appena il dittatore veniva nominato, si verificava una sorta di sospensione nei confronti dei consoli e di tutti gli altri magistrati, ad eccezione dei tribuni plebis. Si afferma spesso che i doveri e le funzioni di tutti i magistrati ordinari cessarono completamente, e alcuni scrittori sono arrivati a dire che i consoli abdicarono (Polyb. III.87; Cic. de Leg. III.3; Dionys. V.70,72); ma questo non è un modo corretto di esporre i fatti del caso. I magistrati regolari continuavano a svolgere i compiti dei loro vari uffici sotto il dittatore, ma non erano più ufficiali indipendenti, ma erano soggetti all’imperium superiore del dittatore, e obbligati a obbedire ai suoi ordini in ogni cosa. Troviamo spesso il dittatore e i consoli alla testa di eserciti separati allo stesso tempo, e a condurre la guerra indipendentemente l’uno dall’altro (Liv. II.30,VIII.29); vediamo che i soldati arruolati dal dittatore prestavano giuramento di fedeltà al console (Liv. II.32), e che i consoli potevano tenere i comitia consolari durante un dittatore (Liv. XXIII.23). Tutto ciò dimostra che i consoli non rinunciavano alle loro funzioni, sebbene fossero soggetti all’imperium del dittatore; e di conseguenza, non appena il dittatore abdicò, essi entrarono di nuovo immediatamente nel pieno possesso del potere consolare.
La superiorità del potere del dittatore rispetto a quello dei consoli consisteva principalmente nei tre punti seguenti: maggiore indipendenza del senato, più ampio potere di punizione senza alcun appello (provocatio) dalla loro sentenza al popolo, e irresponsabilità. A questi tre punti, si deve naturalmente aggiungere che non era incatenato da un collega. Possiamo naturalmente supporre che il dittatore di solito agisse all’unisono con il senato; ma è espressamente dichiarato che in molti casi in cui i consoli richiedevano la cooperazione del senato, il dittatore poteva agire sotto la propria responsabilità (Polyb. III.87). Per quanto tempo la dittatura fu un magistratus sine provocatione, è incerto. Che originariamente non ci fosse appello dalla sentenza del dittatore è certo, e di conseguenza i littori portavano le asce nei fasci davanti a loro anche in città, come simbolo del loro potere assoluto sulla vita dei cittadini, anche se con la legge di Valeriano le asce erano scomparse dai fasci dei consoli (Liv. II.18,29,III.20; Zonar. VII.13; Dionys. V.70,75;Pompon. de Orig. Jur. § 18). Che dalla loro sentenza ci si potesse appellare al popolo, è espressamente affermato da Festo (s.v. optima lex), e si è supposto che questo privilegio fosse concesso dalla lex Valeria Horatia, passata dopo l’abolizione del decemvirato nel 449 a.C., che stabiliva “ne quis ullum magistratum sine provocatione crearet” (Liv. III.15). Ma undici anni dopo si parla della dittatura come di un magistratus sine provocatione; e l’unico caso in Livio (VIII.33-34) in cui il dittatore è minacciato di provocatio, non prova certo che questo fosse un diritto legale; perché L. Papirius, che allora era dittatore, trattò la provocatio come una violazione dei diritti della sua carica. Possiamo quindi supporre che la Lex Valeria Horatia si applicasse solo alle magistrature regolari, e che la dittatura ne fosse considerata esente. Se però il diritto di provocatio sia stato dato in seguito, o se l’affermazione di Festo sia un errore, non può essere determinato. In connessione con la provocatio sorge un’altra questione riguardante la relazione della dittatura con i tribuni della plebe. Sappiamo che i tribuni continuavano a rimanere in carica durante la dittatura; ma non abbiamo ragione di credere che avessero un qualche controllo su un dittatore, o che potessero ostacolare le sue azioni con la loro intercessio o auxilium, come potevano nel caso dei consoli. I pochi casi che sembrano provare il contrario sono da spiegare in modo diverso, come ha dimostrato Becker. Che i tribuni continuassero a rimanere in carica come magistrati indipendenti durante una dittatura, mentre tutti gli altri magistrati diventavano semplicemente gli ufficiali del dittatore, si spiega col fatto che la lex de dictatore creando fu approvata prima dell’istituzione del tribunato della plebe, e di conseguenza non ne faceva menzione, e che, poiché un dittatore veniva nominato in virtù di un senatus consultum, il senato non aveva alcun potere sui tribuni della plebe, anche se poteva sospendere gli altri magistrati.
Si è già detto che il dittatore era irresponsabile, cioè non poteva essere chiamato a rispondere dei suoi atti ufficiali dopo la sua abdicazione. Questo è espressamente affermato dagli scrittori antichi (Zonar. VII.13, Dionys. V.70,VII.56; Plut. Fab. 3; Appiano, B. C. II.23), e, anche se non fosse stato affermato, deriverebbe dalla natura stessa della dittatura. Non troviamo inoltre nessun caso registrato in cui un dittatore dopo le sue dimissioni sia stato reso responsabile del cattivo uso del suo potere, con l’eccezione di Camillo, il cui caso però fu molto particolare (cfr. Becker, Römisch. Alterth. vol. II parte II. p172).
È in conseguenza del grande e irresponsabile potere posseduto dalla dittatura, che la troviamo frequentemente paragonata alla dignità regale, dalla quale differisce solo per essere tenuta per un tempo limitato (Cic. de Rep. II.32Zonar. VII.13; Dionys. V.70,73; Appiano, B. C. I.99; Tac. Ann. I.1). C’erano comunque alcuni limiti al potere del dittatore. 1. Il più importante era quello che abbiamo spesso menzionato, che il periodo della sua carica era di soli sei mesi. 2. Non aveva potere sul tesoro, ma poteva solo fare uso del denaro che gli veniva concesso dal senato (Zonar. VII.13). 3. Non gli era permesso di lasciare l’Italia, poiché in tal caso poteva facilmente diventare pericoloso per la repubblica (Dion Cass. XXXVI.17)º; anche se il caso di Atilio Calatino nella prima guerra punica forma un’eccezione a questa regola (Liv. Epit. 19). 4. Non gli era permesso di andare a cavallo a Roma, senza aver prima ottenuto il permesso del popolo (Liv. XXIII.14; Zonar. VII.13); un regolamento apparentemente capriccioso, ma forse adottato per non assomigliare troppo ai re, che erano abituati a cavalcare.
Le insegne del dictatorº erano quasi le stesse di quelle dei re nei tempi precedenti; e dei consoli successivamente. Tuttavia, invece di avere solo dodici littori, come nel caso dei consoli, era preceduto da ventiquattro che portavano sia le garanzie che i fasci. Anche la sella curulisandtoga praetexta apparteneva al dittatore (Polyb. III.87;Dionys. X.24;Plut. Fab. 4;Appiano, B. C. I.100;Dion Cass. LIV.1).
Il precedente resoconto della dittatura si applica più particolarmente al dictator rei gerundae causa; ma i dittatori erano anche frequentemente nominati, specialmente quando i consoli erano assenti dalla città, per compiere certi atti, che non potevano essere fatti da nessun magistrato inferiore. Questi dittatori avevano poco più che il nome; e poiché erano nominati solo per adempiere a un particolare dovere, dovevano dimettersi subito dopo che quel dovere era stato compiuto, e non avevano il diritto di esercitare il potere del loro ufficio in riferimento a qualsiasi altra questione che non fosse quella per cui erano stati nominati. Le occasioni in cui tali dittatori erano nominati, erano principalmente:- 1. Allo scopo di tenere i comitia per le elezioni (comitiorum habendorum causa). 2. Per fissare il clavus annalis nel tempio di Giove (clavi figendi causa) in tempi di pestilenza o discordia civile, perché la legge diceva che questa cerimonia doveva essere eseguita dal praetor maximus, e dopo l’istituzione della dittatura quest’ultimo era considerato come la più alta magistratura dello stato(Liv. VII.3). 3. Per nominare le vacanze (feriarum constituendarum causa) all’apparizione di prodigi(Liv. VII.28), e per officiare i giochi pubblici (ludorum faciendorum causa), la cui presidenza spettava ai consoli o ai pretori (VIII.40,IX.34). 4. Per tenere i processi (quaestionibus exercendis,IX.36). 5. E in un’occasione, per riempire i posti vacanti nel senato (legendo senatui,XXIII.22).
Al fianco del dittatore c’era sempre un magister equitum, la cui nomina era lasciata alla scelta del dittatore, a meno che il senatus consultum specificasse, come talvolta accadeva, il nome della persona che doveva essere nominata (Liv.VIII.17,XXII.57). Il dittatore non poteva stare senza un magister equitum, e, di conseguenza, se quest’ultimo moriva durante i sei mesi della dittatura, un altro doveva essere nominato al suo posto. Il magister equitum era soggetto all’imperium del dittatore, ma in assenza del suo superiore diventava il suo rappresentante, ed esercitava gli stessi poteri del dittatore. In un’occasione, poco prima che i dittatori legali cessassero di essere nominati, troviamo un caso in cui un magister equitum fu investito di un imperium uguale a quello del dittatore, così che c’erano virtualmente due dittatori, ma questo è espressamente menzionato come un’anomalia, che non si era mai verificata prima (Polyb. III.103,106). Il rango che il magister equitum aveva tra gli altri magistrati romani è dubbio. Niebuhr afferma (vol. II p390) che “nessuno ha mai supposto che la sua carica fosse una carica di curule”; e se ha ragione nel supporre che il tribunato consolare non fosse una carica di curule, la sua opinione è supposta dal racconto di Livio, che l’imperium del magister equitum non era considerato superiore a quello di un tribuno consolare (VI.39). Cicerone, al contrario, pone il magister equitum alla pari con il pretore (de Leg. III.3); e dopo l’istituzione del pretorio, sembra essere stato considerato necessario che la persona che doveva essere nominata magister equitum dovesse essere stata precedentemente pretore, così come il dittatore, secondo la vecchia legge, doveva essere scelto tra i consoli (Dion Cass. XLII.21). Di conseguenza, troviamo in un momento successivo che il magister equitum aveva le insegne di un pretore (Dion Cass. XLII.27). Il magister equitum era originariamente, come implica il suo nome, il comandante della cavalleria, mentre il dictator era a capo delle legioni, la fanteria (Liv. III.27), e la relazione tra loro era in questo senso simile a quella che sussisteva tra il re e il tribuno celerum.
I dittatori furono nominati solo finché i Romani dovettero portare avanti le guerre in Italia. Nella prima guerra punica c’è un solo esempio della nomina di un dittatore allo scopo di condurre la guerra fuori dall’Italia (Liv. Epit. 19); ma questo non fu mai ripetuto, perché, come è stato già osservato, si temeva che una così grande potenza potesse diventare pericolosa alla distanza da Roma. Ma dopo la battaglia di Trasimene nel 217 a.C., quando Roma stessa fu minacciata da Annibale, si ricorse di nuovo a un dittatore, e Q. Fabius Maximus fu nominato alla carica. Nell’anno successivo, 216 a.C., dopo la battaglia di Cannae, fu nominato dittatore anche M. Junius Pera, ma questa fu l’ultima volta che fu nominato un dittatore rei gerundae causa. Da quel momento i dittatori furono nominati frequentemente per tenere le elezioni fino al 202 a.C., ma da quell’anno la dittatura scompare del tutto. Dopo un periodo di 120 anni, Silla si fece nominare dittatore nell’82 a.C., reipublicae constituendae causa (Vell. Pat. II.28), ma come osserva Niebuhr, “il titolo era un semplice nome, senza alcun motivo per un tale uso nella costituzione antica”. Né il magistrato (interrex) che lo nominò, né il tempo per il quale fu nominato, né l’estensione né l’esercizio del suo potere, erano conformi alle antiche leggi e ai precedenti; e lo stesso fu il caso della dittatura di Cesare. Poco dopo la morte di Cesare la dittatura fu abolita per sempre da una lex proposta dal console Antonio (Cic. Phil. I.1;Liv. Epit. 116;Dion Cass. LIV.51). Il titolo fu offerto ad Augusto, ma egli lo rifiutò risolutamente a causa dell’odio che gli era stato attribuito dalla tirannia di Silla quando era dittatore (Suet. Aug. 52).
Durante il periodo in cui la dittatura rimase in sospeso, tuttavia, ogni volta che le circostanze della repubblica richiedevano l’adozione di misure straordinarie, si inventava un sostituto che il Senato investiva i consoli del potere dittatoriale. Questo veniva fatto con la nota formula, Videant o dent operam consules, ne quid respublica detrimenti capiat (cfr. Sall. Catil. 29).
(Il precedente resoconto è stato tratto in gran parte da Becker, Handbuch der Römischen Alterthümer, vol. II parte II. p150, &c.; cfr. Niebuhr, Hist. of Rome, vol. I p563, &c.; Göttling, Geschichte der Römisch. Staatsverfassung, p279, &c.).
Nota del Tayer:
aIl dittatore non passibile di essere chiamato in causa . . . espressamente dichiarato da . . . Plutarco:Da nessuna parte si trova una tale dichiarazione nella Vita di Fabio (q.v.).
Per un riassunto molto più semplice, vedi questa buona pagina su Livius.Org.
Le immagini con i bordi portano a maggiori informazioni. Più spesso è il bordo, maggiori sono le informazioni.(Dettagli qui.) |
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